Droit international général

U.S. Federal Judicial Center Publication on “Discovery in International Civil Litigation”

Conflictoflaws - dim, 12/06/2015 - 16:13

The Federal Judicial Center (FJC) has just published the most recent item in their series on international litigation. The text, entitled “Discovery in International Civil Litigation: A Guide for Judges,” was written by Timothy Harkness, Rahim Moloo, Patrick Oh and Charline Yim. The guide joins a variety of other titles, including those on mutual legal assistance treaties (T. Markus Funk), the Foreign Sovereign Immunities Act (David Stewart), international commercial arbitration (S.I. Strong), recognition and enforcement of foreign judgments (Ron Brand), and international extradition (Ronald Hedges).

The new text can be downloaded from the FJC website here. The other texts are also available for download at fjc.gov. If you would like a free copy of the new discovery guide or any of the judicial guides on international law, just contact the FJC.

L’edizione 2015 del premio “Riccardo Monaco”

Aldricus - ven, 12/04/2015 - 07:00

Anche quest’anno, la Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione europea (SIDI) ha indetto un bando di concorso per il conferimento del premio “Riccardo Monaco” – istituito dalla famiglia per onorare la memoria dell’insigne giurista, socio fondatore e primo Presidente della SIDIper una tesi di dottorato su aspetti giuridici e dell’integrazione europea e una tesi di dottorato su aspetti giuridici delle organizzazioni internazionali.

Il termine per la presentazione della domanda scade il 4 marzo 2016.

Maggiori informazioni sono reperibili a questo indirizzo.

Royal Dutch Shell. Watch those stockings. Nigeria / RDS judgment on appeal expected end December.

GAVC - jeu, 12/03/2015 - 11:11

I have earlier referred to Shell’s arguments in appeal (in Dutch) on the specific issue of jurisdiction, which may be found here .  Judgment in fact, as I reported, generally was quite comforting for Shell (and other holding companies in similar situations) on the issue of substantive liability.

However on jurisdiction, the Dutch court’s approach of joinders under residual national jurisdictional rules, was less comforting. The rules on joinders, otherwise known as ‘anchor defendants’, in the Brussels regime (Brussels I as well as the Recast) do not apply to defendants domiciled outside of the EU. Consequently national rules of civil procedure decide whether an action against a daughter company, established outside of the EU, can be successfully anchored to an action against the mother company (against which jurisdiction is easily established per Article 4 of the Recast, Article 2 of the former Regulation). In first instance, the Court at The Hague ruled in favour of joining a non-EU defendant to a case against its mother company in The Netherlands.

In its submission, Shell (with reference to relevant national case-law) borrows heavily from CJEU case-law on what was Article 6(1) (now Article 8(1)), suggesting that Dutch residual law was meant to apply as a mirror the European regime, with one important difference: precisely the issue that under the Dutch regime, none of the parties need to be domiciled in The Netherlands. Any jurisdictional rule which leads the Dutch courts to accept jurisdiction against one defendant, even if that anchor defendant is not domiciled in the country, can lead to others being drawn into the procedure. This means, so Shell suggests, that the Dutch rule (Article 7(1) of the Dutch code of civil procedure) is more in need of precautions against abuse, than the equivalent European rule.

As part of the efforts to avoid abuse, the Dutch courts need to make a prima facie assessment of the claims against the anchor defendant: for if those claims are spurious, anchoring other claims to such loose ground would be abusive. On this point, the Court of Appeal will have to discuss the corporate veil, piercing it, Chandler v Cape etc. Shell’s submission does not in fact argue why piercing needs to be assessed by the lex causae (here: Nigerian law as the lex loci damni) and not, for instane, by the lex fori. I doubt the Court of appeal will raise it of its own accord. (See here for a consideration of the issues in an unrelated area and further pondering here).

A little bird tells me that judgment will be issued on 18 December. I may or may not be able to review that before the Christmas break. In the negative, it will have to be an Epiphany posting. (Potentially in more than one meaning of the word).

Geert.

 

La Cassazione nega all’Iran l’immunità dalla giurisdizione in due procedimenti relativi all’efficacia di sentenze americane di condanna al risarcimento di danni, ma ritiene le sentenze non riconoscibili per difetto della competenza “internazionale” del...

Aldricus - jeu, 12/03/2015 - 07:00

Con due sentenze sostanzialmente gemelle depositate il 28 ottobre 2015 (n. 21946 e n. 21947) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla riconoscibilità in Italia di due sentenze emesse dalla District Court della Columbia, che condannavano l’Iran, in solido con altri responsabili, al pagamento di ingenti somme di denaro a titolo di risarcimento dei danni (anche “punitivi”), cagionati ai parenti delle vittime di due attentati terroristici avvenuti in Israele nel 1995 e nel 1996.

Richiamando quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 238/2014, la Cassazione ha negato all’Iran l’immunità dalla giurisdizione nel procedimento volto all’accertamento delle condizioni del riconoscimento della decisione americana in Italia, instaurato secondo l’art. 67 della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, non ritenendo tuttavia riconoscibili le sentenze per difetto della condizione di cui alla lettera a) dell’art. 64 della stessa legge n. 218/1995, concernente la c.d. competenza “internazionale” del giudice a quo.

Entrambe le pronunce originavano dalle domande volte ad ottenere la dichiarazione di esecutività (rectius l’accertamento dei requisiti del riconoscimento) di due sentenze  (n. 97-396 (RCL) dell’11 marzo 1998  e la n. 98-1945 (RCL) dell’11 luglio 2000) emesse dalla United States District Court for the District of Columbia. Entrambe le sentenze avevano ad oggetto la condanna della Repubblica Islamica dell’Iran e del Ministero per l’informazione e la sicurezza iraniano (in solido con altri responsabili), al pagamento di somme di denaro a titolo di risarcimento dei danni, anche punitivi, in favore dei congiunti delle vittime, cittadine americane, decedute in Israele a seguito di attentati terroristici  rivendicati dalla fazione Shaqaqi della Jihad Islamica Palestinese (nota con il nome di Hamas). Le sentenze hanno accertato che gli attentati erano stati portati a termine sotto la direzione della Repubblica Iraniana e dei suoi alti vertici.

In entrambi i casi un primo tentativo volto ad ottenere l’esecuzione in Italia di tali sentenze era già stato avviato nel 2004, quando la Corte d’appello di Roma con sentenze depositate il 14 giugno 2004 aveva dichiarato riconoscibili le sentenze della Corte statunitense e ne aveva dichiarato l’esecutività, sulla base della accertata sussistenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 64 della legge n. 218/1995. Le pronunce della Corte d’Appello vennero però successivamente cassate, senza rinvio, dalla Corte di Cassazione con sentenze n. 14570 e n. 14571 del 22 giugno 2007, per vizi formali (essendo stato accertato un vizio di inesistenza della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di riconoscimento).

I ricorrenti promuovevano due nuovi giudizi ex art. 67 della legge n. 218/1995 davanti alla Corte d’Appello di Roma volti ad ottenere l’accertamento della sussistenza delle condizioni del riconoscimento al fine di poter porre in esecuzione le due decisioni. In entrambi i giudizi si costituivano la Repubblica Islamica dell’Iran e il Ministero dell’informazione e della sicurezza dell’Iran, eccependo la carenza di giurisdizione della Corte statunitense. Nei procedimenti intervenivano, per il Governo italiano, il Ministero degli affari esteri, che richiamava il principio dell’immunità giurisdizionale degli Stati e della impignorabilità dei beni siti nel territorio italiano appartenenti a Stato estero, chiedendo quindi il rigetto delle istanze.

La Corte d’appello di Roma, con sentenze depositate l’8 luglio 2013, ha rigettato le domande di riconoscimento delle sentenze, ritenendo non sussistenti i presupposti per il riconoscimento delle decisioni, in ragione del principio di immunità giurisdizionale applicabile allo Stato convenuto. A tale riguardo, la Corte d’appello ha rilevato che nel nostro ordinamento è applicabile, in virtù del rinvio operato dall’art. 10 della Costituzione, la norma di diritto internazionale consuetudinario che impone agli Stati l’obbligo di astenersi dall’esercitare il potere giurisdizionale sugli atti compiuti da uno Stato straniero. La Corte richiama a tal fine quanto affermato dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 3 febbraio 2012 nell’affare delle immunità giurisdizionali dello Stato (Germania c. Italia, Grecia interveniente) (pubblicata in Riv. dir. int., 2012, p. 475), nella quale la Corte internazionale di giustizia, in relazione alla questione dell’immunità dello Stato dalla giurisdizione di un alto Stato in un procedimento volto alla dichiarazione di esecutività di una decisione straniera, ha affermato, che il giudice deve chiedersi se, ove fosse stato investito del merito di una controversia identica a quella decisa con la sentenza straniera, esso avrebbe o meno dovuto accordare l’immunità allo Stato in base la diritto internazionale (cfr. par. 130 della sentenza). Applicando tale principio, la Corte d’appello concludeva nel senso della inesistenza nel diritto internazionale di una norma che limiti l’immunità degli Stati a fronte di una violazione grave dello ius cogens e rigettava le domande dei ricorrenti.

Gli stessi ricorrevano per la cassazione di tali sentenze davanti alla Corte di Cassazione, denunciando – ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile – la violazione o falsa applicazione dell’art. 64, comma 1, lett. a), della legge n. 218/1995, e dei principi di diritto internazionale relativi all’immunità giurisdizionale degli Stati, nonché degli articoli 5 e 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni (legge di autorizzazione all’adesione 14 gennaio 2013, n. 5), degli articoli 7 e 27 dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (legge di autorizzazione alla ratifica 12 luglio 1999, n. 232, ed entrato in vigore il 1° luglio 2002), degli articoli 10, primo comma, e 11 della Costituzione, nonché dei principi della “giurisdizione universale”.

Nelle due sentenze gemelle la Corte di Cassazione richiama la conclusione a cui è giunta la Corte d’Appello per effetto della citata sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012 nel caso Germania c. Italia, stabilendo che tale ratio decidendi non sia “ulteriormente confermabile”. A giudizio della Corte vi osta “la sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014, la quale ha affermato che l’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile per gli atti compiuti nell’esercizio dei poteri sovrani, riconosciuta dal diritto internazionale consuetudinario, non può valere ad escludere l’accesso alla giurisdizione di fronte ai giudici italiani, in relazione ad azioni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi dei diritti della persona umana, trattandosi di un principio qualificante il nostro sistema costituzionale italiano, saldamente ancorato alla tutela della dignità umana e dei diritti inviolabili e ai principi di pace e giustizia nelle relazioni internazionali. Con la citata sentenza è stato sbarrato l’ingresso, nel nostro ordinamento, della norma consuetudinaria, limitatamente alla parte in cui estende l’immunità alle azioni di danni provocati da atti o comportamenti qualificabili come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, in quanto tali estranei all’esercizio legittimo della potestà di governo.”

Come ha chiarito infatti la Corte Costituzionale nella citata sentenza: “la norma internazionale alla quale il nostro ordinamento si è conformato in virtù dell’art. 10, primo comma, Cost. non comprende l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile in relazione ad azioni di danni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, i quali risultano per ciò stesso non privi della necessaria tutela giurisdizionale effettiva”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ritengono di dover aderire a tale principio (ribadito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 30 del 2015) anche se contenuto in una pronuncia che, per questa parte, non è di incostituzionalità, ma “interpretativa di rigetto”. Ciò per due ragioni: “sia per il vincolo (negativo) che deriva, per tutti i giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto resa dalla Corte costituzionale, consistente nell’imperativo di non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale (Sez. Un., 16 dicembre 2013, n. 27986); sia perché la propugnata lettura adeguatrice – nello stimolare i giudici nazionali a contribuire all’emersione e al consolidamento di una diversa consuetudine internazionale basata su una operatività non illimitata o indiscriminata dell’immunità – trova rispondenza negli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte, la quale più volte nel recente passato, proprio in tema di immunità dalla giurisdizione civile dello Stato estero, ha ritenuto prevalenti, sul dogma della sovranità, i principi e i diritti fondamentali che si riconnettono ai valori costitutivi della dignità umana (Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5044; Sez. Un., 29 maggio 2008, n. 14199, n. 14201 e n. 14202; Sez. I, 20 maggio 2011, n. 11163).”

Pertanto, ad avviso delle S.U., “allo Stato convenuto non è applicabile il principio di immunità giurisdizionale là dove il risarcimento del danno sia stato chiesto ed accordato a seguito di un fatto terroristico annoverabile tra i crimini internazionali commessi in violazione dei diritti inviolabili dell’uomo. L’immunità dello Stato estero, infatti, non è un diritto, ma una prerogativa che non può essere assicurata di fronte a delicta imperii, a crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali.”

Sempre secondo la Corte, in entrambi i casi gli attentati terroristici che costarono la vita alle vittime sono riconducibili tra i “crimini contro l’umanità”, essendosi trattato di atti criminosi perpetrati “nell’ambito di un attacco sistematico e consapevole della inerme popolazione civile, ispirato da ragioni di odio razziale, etnico, politico e religioso e gravemente pericoloso per la sicurezza e l’ordine internazionali”.

Una volta esclusa l’applicabilità della regola in materia di immunità nei confronti dell’Iran nei giudizi di accertamento della riconoscibilità in Italia delle decisioni della corte distrettuale della Columbia, la Corte prosegue nella valutazione del “merito” della questione: ossia l’accertamento della sussistenza delle condizioni del riconoscimento.

In particolare, ai sensi dell’art. 64, comma 1, lett. a), della legge n. 218/1995, si richiede, come è noto, la presenza della competenza c.d. “internazionale” del giudice straniero che ha pronunciato la sentenza, da valutarsi in base ai principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano. Ne consegue che “non può essere riconosciuta la sentenza straniera allorché essa sia stata emanata all’esito di un procedimento fondato su criteri di giurisdizione previsti dall’ordinamento straniero, ma esorbitanti rispetto ai principi sulla delimitazione della giurisdizione deducibili dalla legge n. 218/1995, recante la disciplina del sistema italiano diritto internazionale privato”.

La Corte richiama a tal fine l’art. 3, comma 1, della legge n. 218/1995, ai sensi del quale “La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge”. Il comma 2 della stessa disposizione prevede: “La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza territoriale”.

La Corte rileva come la fattispecie in esame esula dall’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, perché atti come quelli che si trovano all’origine del danno lamentato dagli attori dinanzi ai giudici statunitensi, sebbene illeciti e lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, derivano da una manifestazione di pubblico imperio da parte dello Stato interessato nel momento in cui tali atti sono stati perpetrati. A tal fine la Corte richiama il precedente della Corte di giustizia nel caso Lechouritou, in cui la Corte ha infatti chiarito che la Convenzione non è applicabile alle controversie relative ad attività che costituiscono espressione della sovranità dei singoli Stati (sentenza 15 febbraio 2007, causa C-292/05, Lechouritou e altri, concernente un’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno subito dagli aventi diritto delle vittime di azioni delle forze armate di uno Stato contraente nell’ambito di operazioni di guerra sul territorio dello Stato adito).

Escluso che la materia rientrasse nell’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles, la Corte ritiene di dover ricavare i criteri di giurisdizione sulla base dei criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per la competenza per territorio, richiamati dall’art. 3, comma 2, ultima parte, della legge n. 218/1995.

L’applicazione di questi criteri non permette, ad avviso della Corte, di dare rilievo al foro degli attori, secondo la previsione, invocata dai ricorrenti, dell’art. 18, secondo comma, del codice di procedura civile: secondo la Corte, infatti, “[i]l criterio del foro dell’attore riveste un carattere del tutto residuale rispetto a quelli indicati dagli articoli 18 e 19 cod. proc. civ. (cfr. Sez. III, 18 marzo 1994, n. 2596); e poiché nella specie ad essere convenuto è uno Stato estero, soggetto di diritto internazionale, i criteri soggettivi di radicamento della competenza per territorio operano a condizione che nello Stato del foro lo Stato estero abbia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio.”

Ad avviso della Corte, nei casi di specie nessuno dei titoli di giurisdizione propri dell’ordinamento italiano secondo i principi sulla delimitazione della giurisdizione deducibili dall’art. 3, comma 2, ultima parte, della legge n. 218/1995 consentiva alla District Court della Columbia di decidere le controversie sottoposte alla sua cognizione.

In primo luogo, il titolo di giurisdizione alla base della decisione del giudice statunitense, fondato sulla nazionalità dell’attore secondo la disciplina interna del Foreign Sovereign Immunities Act, non è coerente con i criteri sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano.

In secondo luogo, i convenuti Repubblica Islamica dell’Iran e Ministero della sicurezza e dell’informazione dell’Iran non erano rappresentati negli Stati Uniti d’America, essendo le relazioni diplomatiche tra Iran e Stati Uniti venute meno dal 1979.

Infine, sia la condotta illecita (l’attentato terroristico) che l’evento dannoso (la morte delle vittime) si sono interamente verificati al di fuori del territorio degli Stati Uniti, in Israele, e rispetto ad essi non era mai stata esercitata un’azione penale innanzi ad un giudice statunitense.

In particolare, ad avviso della Corte: “non può darsi seguito alla tesi dei ricorrenti, secondo cui l’attribuzione della competenza ai giudici di uno Stato diverso da quello nel cui territorio sono localizzati sia il fatto generatore che la realizzazione dell’intero danno subito dalla vittima principale sarebbe giustificata dalla necessità di prendere in considerazione anche il danno consistente nella sofferenza patita dagli stressi congiunti della vittima, cittadini americani e residenti negli Stati Uniti nel momento in cui si è verificato l’attentato”. Una siffatta impostazione è preclusa, secondo la Corte, dall’art. 20 cod. proc. civ., ai sensi del il locus commissi delicti coincide con il luogo ove il fatto causale ha prodotto direttamente i suoi effetti nei confronti di colui che ne è la vittima immediata, non con il luogo in cui sono stati percepiti dalle vittime ulteriori gli effetti lesivi della condotta antigiuridica. E quanto al luogo di adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, esso è quello del domicilio del debitore (art. 1182, ultimo comma, cod. civ.), non già quello del domicilio del creditore, riguardando il terzo comma dell’art. 1182 cod. civ. esclusivamente le obbligazioni aventi originariamente ad oggetto una somma di denaro (Sez. I, 5 ottobre 1957, n. 3626; Sez. III, 7 aprile 1995, n. 4057).

Prosegue la Corte affermando che la necessità di ricercare un titolo di giurisdizione conforme a quello dell’ordinamento italiano “non può dirsi venuta meno per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014.”

Ad avviso del Collegio, infatti, “da tale pronuncia – che non ha creato alcun criterio di collegamento giurisdizionale nuovo – deriva, non il riconoscimento di un principio di giurisdizione civile universale per le azioni risarcitorie da delicta imperii, ma l’inoperatività della norma consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione civile in presenza di domande dirette ad ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla commissione, nel territorio dello Stato del foro, di crimini di guerra e contro l’umanità.”

Prosegue la Corte: “Per effetto della sentenza della Corte costituzionale, il giudice – sempreché gli sia attribuita la competenza giurisdizionale secondo un titolo valido per il nostro ordinamento – non può negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.”

A tal fine la Corte valorizza anche il principio della territorialità dell’illecito e della giurisdizione civile, posto alla base dell’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni [n.d.r. non in vigore]: norma che prevede una deroga al principio dell’immunità, nelle controversie aventi ad oggetto fatti illeciti imputabili allo Stato straniero, ma a condizione che l’atto o l’omissione si siano «prodotti, interamente o in parte, sul territorio dell’altro Stato» ove venga instaurata la lite e sempre che il loro autore materiale fosse «presente su tale territorio nel momento in cui si è prodotto l’atto o l’omissione».

I ricorsi vengono pertanto rigettati, perché la Corte distrettuale statunitense che ha pronunciato le sentenze di cui è chiesto l’accertamento del riconoscimento ai fini dell’esecuzione in Italia non poteva conoscere delle cause secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano, dovendosi correggere nei sensi esposti, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., la motivazione delle impugnate sentenze della Corte d’appello di Roma.

Conference From common rules to best practices in European Civil Procedure

Conflictoflaws - mer, 12/02/2015 - 10:00

As was announced earlier on this blog, on 25 and 26 February a conference will be held at Erasmus University Rotterdam (Netherlands) on the theme From common rules to best practices in European Civil Procedure, jointly organized by Erasmus School of Law and the Max Planck Institute in Luxembourg.

The conference brings together distinguished academics, practitioners, legislators, and policy makers, discussing in panels the need for common rules to facilitate judicial cooperation and mutual trust, procedural innovation and e-justice in the EU, alternative dispute resolution, and best practices on the operationalization of judicial cooperation.

The program and more information is available here and you are cordially invited to register.

 

The Council of the EU to adopt a political agreement on the regulations on matrimonial property regimes and the property consequences of registered partnerships

Conflictoflaws - mer, 12/02/2015 - 08:01

The Council of the European Union is expected to adopt at its next meeting on Justice and Home Affairs, scheduled to take place on 3 and 4 December 2015, a political agreement on the compromise text of the future regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions in matters of matrimonial property regimes (see here, however, for a corrigendum), and the compromise text of the future regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions regarding the property consequences of registered partnerships.

The initiative comes one year after the Council had observed that “some member states needed more time to complete their internal reflection process” on the two Commission proposals of 2011 and decided to “re-examine this matter as soon as possible, and by no later than the end of 2015″.

The Council of the EU to adopt a political agreement on the regulations on matrimonial property regimes and the property consequences of registered partnerships

Aldricus - mer, 12/02/2015 - 07:00

The Council of the European Union is expected to adopt at its next meeting on Justice and Home Affairs, scheduled to take place on 3 and 4 December 2015, a political agreement on the compromise text of the future regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions in matters of matrimonial property regimes (see here, however, for a corrigendum), and the compromise text of the future regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement of decisions regarding the property consequences of registered partnerships.

The initiative comes one year after the Council had observed that “some member states needed more time to complete their internal reflection process” on the two Commission proposals of 2011 and decided to “re-examine this matter as soon as possible, and by no later than the end of 2015”.

Peter Hay: Selected Essays on Comparative Law and Conflict of Laws

Conflictoflaws - mar, 12/01/2015 - 15:35

Although it is hard to believe given his prolific writing and his remarkable fitness, American-German conflicts giant Professor Dr. Dr. h.c. mult. Peter Hay has actually celebrated his eightieth birthday on 17 September this year in Berlin. On this occasion, he has been honoured by a publication of Selected Essays on Comparative Law and Conflict of Laws, edited by Hans-Eric Rasmussen-Bonne and Manana Khachidze. For further information, click here. This volume is a collection of articles, case notes and book reviews authored by Professor Hay, both in English and in German. The contributions cover the whole range of his academic interests, mainly private international law, comparative law and international civil procedure. Taken together, they provide a fascinating view of the development of private international law and comparative law in recent decades, from the U.S. conflicts revolution in the 1960’s to the Europeanization of conflict of laws since the Treaty of Amsterdam. This book is a testimony to a truly impressive lifetime achievement, and it is to be hoped that many more contributions will be added in the future. Ad multos annos!

Il risarcimento dei danni provocati da protesi mammarie difettose nella prospettiva del diritto internazionale privato

Aldricus - mar, 12/01/2015 - 07:00

Samuel Fulli-Lemaire, Affaire PIP : quelques réflexions sur les aspects de droit international privé, in Revue Internationale de Droit Économique, 2015, pp. 99-122.

[Abstract] – Plusieurs voies s’offrent aux porteuses d’implants mammaires fabriqués par la société PIP pour l’indemnisation de leurs préjudices. La présente étude aborde certaines des implications, au regard du droit international privé, des actions en responsabilité délictuelle qui peuvent être intentées par les victimes contre le fabricant ou ses dirigeants sociaux, contre son assureur, et enfin contre l’organisme notifié, c’est-à-dire l’entité chargée de conduire la procédure d’évaluation de conformité d’un produit de santé aux exigences européennes. Dans chaque hypothèse, les aspects relatifs à la compétence internationale et à la loi applicable seront évoqués. Il ressort de cette analyse que de nombreuses stratégies contentieuses peuvent être envisagées, et si cette diversité peut sembler servir l’objectif assurément louable d’une meilleure indemnisation des victimes, ou au moins de certaines d’entre elles, elle doit aussi conduire à nuancer la vision du marché intérieur comme un ensemble cohérent. Certaines de ces difficultés pourraient être atténuées, sinon résolues, par la généralisation de mécanismes d’actions de groupe, mais l’articulation de ces derniers et des règles de droit international privé soulèverait d’autres complications.

CMR and the Brussels regime. The UKSC applies Nipponkoa in BAT /Essers.

GAVC - lun, 11/30/2015 - 07:07

Confession time: when teaching the general conflicts course I tend to simply say about Article 71 of the Brussels I Regulation (unchanged in the Recast): ‘it’s complicated’. I have also briefly flagged the Article in my posting on Nickel and Goeldner. I suppose I should not be quite so shy in addressing the relationship even in an introductory conflicts class for, essentially, it is not that complicated at least form a hierarchical point of view. Article 71 mirrors Article 351 TFEU which states that any rights or obligations arising prior to the TFEU shall not be affected by it unless the agreements are not compatible with the TFEU. At stake therefore is a review by the courts whether international agreements between the Member States prior to the creation of the EU, are compatible with the TFEU.

In BAT Denmark v Kazemier and BAT Switserland v Essers, the United Kingdom Supreme Court had to carry out this exercise vis-a-vis the 1956 CMR Convention –   the Convention on the Contract for the International Carriage of Goods by Road. As Steven Baker notes, Lord Mance kicks off his judgment with the rather delightfully accurate ‘Cigarettes attract smokers, smugglers and thieves’. Tobacco manufactuters are also of course active litigators hence providing us with repeated opportunity to review case-law on a wide variety of contractual and other matters.

In the two appeals, one container load was allegedly hi-jacked in Belgium en route between Switzerland and The Netherlands in September 2011, while another allegedly lost 756 of its original 1386 cartons while parked overnight contrary to express instructions near Copenhagen en route between Hungary and Vallensbaek, Denmark.

The consignors (two of BAT’s corporate vehicles) are claiming against English main contractors who undertook responsibility for the carriage and against sub-contractors in whose hands the cigarettes were when the alleged losses occurred. The carriage was subject to the Convention on the Contract for the International Carriage of Goods by Road 1956 (“CMR”), given the force of law in the United Kingdom by the Carriage of Goods by Road Act 1965.

English law and English jurisdiction are said to offer the advantage that such duty and/or taxes are recoverable in a CMR claim against carriers, which is not the case in some other jurisdictions (at 4).

Citing (and reading in a particular way) CJEU precedent, in particular  Nipponkoa Insurance Co (Europe) Ltd v Inter-Zuid Transport BV (DTC Surhuisterveen BV intervening), C-452/12, the Supreme Court held (at 57) that CMR represents a balanced jurisdictional régime adopted across a wide-range of some 55 states, only half of which are Union member states. It did not regard its tailored balance as impinging on any of the principles of Union law which the CJEU would have it check against.

CMR applies therefore and under relevant English application, neither of the defendants can be sued in England.

Geert.

Il regolamento sulle successioni commentato articolo per articolo in italiano

Aldricus - lun, 11/30/2015 - 07:00

Il regolamento europeo sulle successioni. Commentario al Reg. UE 650/2012 applicabile dal 17 agosto 2015, a cura di Andrea Bonomi e Patrick Wautelet, Giuffrè, 2015, pp. XXXIV – 800, ISBN: 9788814201172, Euro 85.

L’indice dell’opera – che ha per autori Andrea Bonomi, Raffaella Di Iorio, Cristina Mariottini, Fabio Padovini, Paolo Pasqualis, Ilaria Pretelli e Maria Margherita Salvadori – è consultabile qui. Maggiori informazioni disponibili a questo indirizzo.

That sucks: CJEU on science, testing, and laboratories in Dyson.

GAVC - ven, 11/27/2015 - 07:07

At first sight, it may seem a bit nerdy to report on Dyson, Case T-544/13. Yet (pun alert) once the dust settled on the judgment, the case in my view reveals quite a lot on how the CJEU sees the role of the EC as a regulator involved in all three steps of risk analysis: risk identification; risk management; and risk communication.

Arguably, misleading information often does more damage than a lack of information. It is on this basis that well-known Dyson, producer ia of bagless hoovers (or vacuum cleaners), challenged a delegated EC Regulation which establishes, in its own wording, ‘labelling and the provision of supplementary product information for electric mains-operated vacuum cleaners, including hybrid vacuum cleaners’. The purpose of the Regulation and of its mother Directive on energy labelling, evidently is to encourage consumers to purchase hoovers using less energy.

The contested regulation requires tests conducted with an empty dust bag. That, Dyson essentially argues, is like testing a Ferrari and a 2 CV on fuel consumption, with both cars in stationary condition (my comparison, not theirs). It will, in Dyson’s plea, lead to: (i) reporting of inaccurate information; (ii) ‘during use’ information not being integrated into the energy performance data; (iii) less incentive for manufacturers to invest with a view to improving the energy efficiency of vacuum cleaners; and (iv) labelling which does not serve to attain the objective of reducing energy consumption and, on the contrary, leads to an increase in energy consumption.

The Court held (at 47) that the Commission cannot be criticised for having failed to require tests conducted with a dust-loaded receptacle if, under its broad discretion, it decided that such tests were not yet reliable, accurate and reproducible. Even though the Court in various parts of the judgment acknowledges the inadequacy of the resulting product comparison, it cannot be held that the Commission made a manifest error of assessment by favouring a test conducted with an empty receptacle over a test conducted with a dust-loaded receptacle (at 53).

The judgment entertains many arguments brought forward however they essentially all revolve around the seemingly unavailable nature of appropriate, peer reviewable testing methods. The Court dismisses them all as (pun alert) hot air and effectively requires Dyson to offer the peer reviewable, repeatable alternative.

With respect, I believe the judgment is fundamentally mistaken. It was obviously not considered to be of a very crucial nature (chamber of three). Yet despite its very focussed nature, it reveals a lot about what the EU expects of its Institutions. In this case, misinformation is essentially considered preferable to no information. Surely (pun alert) that sucks.

The case was before the General Court hence appeal with the CJEU is not impossible.

Geert.

 

The Commission’s report on the application of Regulation No 1896/2006 on the European order for payment procedure

Aldricus - jeu, 11/26/2015 - 07:00

On 13 October 2015 the European Commission issued a report on the application of Regulation No 1896/2006, establishing a European order for payment procedure. Through a uniform and simplified procedure based on the use of standard forms, the Regulation allows a creditor to request a competent court in a EU Member State to issue an order of payment. If the debtor fails to contest the claim in the way prescribed by the Regulation, the order may be enforced without prior exequatur in the rest of the European Judicial area.

In its report, the Commission begins by addressing the issues relating to the submission of applications for an order of payment and their management by courts.

In particular, as regards the examination of applications, the Commission observes that even though inaccuracies in the information on the parties have in some States led to a high number of returned applications, the forms available in the European e-Justice portal effectively assist users in filling in applications in a correct way.

Whereas some States manage to issue the order of payment within the 30-days period provided by the Regulation, most of the Member States fail to comply with that deadline. In some cases, orders have been issued after no less than nine months from the application. With regard to the costs of the procedure, the Commission finds that fees are similar to those required for litigating under analogous national procedures, which largely vary among Member States.

According to the Commission, the opposition, review and enforcement of the European order of payment do not raise specific questions, even if the rate of opposition to the order differs from one Member State to another.

On a different note, the report underlines the prejudice that might be brought about by orders issued against consumers, as courts are instructed to issue orders for payment without examining the substantive bases of the claim. In this respect, the Commission considers, inter alia, that, since Article 8 of the Regulation requires the court to examine the claim on the basis of the information available to it, the seised court may, in case of doubts as to the justification of part of the claim, issue only a partial order.

The report concludes that the application of the Regulation has improved the handling of uncontested claims in cross-border disputes. Yet, the procedure does not seem to be sufficiently known among businesses, citizens, practitioners and courts. Accordingly, in the Commission’s view, the Regulation needs to be better promoted, including through the opportunities of cooperation provided by the European Judicial Network in Civil and Commercial Matters.

Notice from Member States – Update of Information on the Brussels I Recast

Conflictoflaws - mer, 11/25/2015 - 10:34

First update of the information referring to Article 76 of Regulation (EU) No 1215/2012 of the European Parliament and of the Council on jurisdiction and the recognition and enforcement of judgments in civil and commercial matters, to be found here (OJ C 390/10, 24.11.2015).

Unilateral jurisdiction not necessarily invalid under French law – Cour de Cassation in Apple.

GAVC - mer, 11/25/2015 - 07:07

The French Cour de Cassation’s in Banque Privee Edmond de Rothschild Europe v X held that a unilateral jurisdiction clause was invalid under (doubtful) reference to (then) Article 23 of the Brussels I Regulation. The clause was held not to be binding under the French doctrine of clauses potestatives, even though the agreed forum was Luxembourg (whence the validity of the clause was judged under the lex fori derogati, not prorogati; that will no longer be possible under the recast Jurisdiction Regulation). In Credit Suisse, it extended this view (without reference this time to clauses potestatives) to choice of court in the context of the Lugano Convention.

In Apple Sales international v eBizcuss.com, the Cour de Cassation effectively qualifies its Rotschild case-law. The Court of Appeal held as unacceptable, under the theory of clauses potestatives, choice of court obliging eBizcuss to sue in Ireland, while allowing Apple Sales International to sue either in Ireland, or the place of registered office of eBizcuss, or any place where Apple Sales would have suffered damage. The Cour de Cassation now held that this clause is perfectly acceptable under Article 23 (now 25)’s regime for it corresponds to the need of foreseeability. (Which more extreme unilateral clauses arguably do not have). As always, the judgment is scant on details of the underlying contract whence it is not entirely clear whether French law was lex contractus or whether the Cour stuck to lex fori as determining validity of choice of court.

Geert.

International Seminar on Private International Law, Madrid 2016. Call for Papers

Conflictoflaws - lun, 11/23/2015 - 15:52

The 10th edition of the International Seminar on Private International Law, organized by Prof. Fernández Rozas and Prof. de Miguel Asensio will be held next 14 and 15 April 2016, at the Faculty of Law of the Universidad Complutense of Madrid .

At the sitting of Thursday 14 special attention will be paid to the recent reforms of Spanish private international law; the latest developments towards codification of private international law in Latin America will also be addressed . The following sessions, on Friday, will focus on the development of private international law in Europe and within international commercial arbitration.

As in previous editions the main lectures of the seminar will be in charge of well-known scholars, including Jürgen Basedow (Max Planck Institute Hamburg), Roberto Baratta (University of Macerata), Bertrand Ancel (Paris II), Christian Heinze (University of  Hannover) and Sebastien Mancieaux (University of Dijon). Nonetheless, the seminar is open to all scholars, either Spanish or foreigners, willing to participate with brief presentations. In this regard proposals including both the title and a brief summary are to be sent no later than December 15 to Prof. Angel Espiniella Menéndez (espiniell@gmail.com). The final written version of the presentations, not exceeding 25 pages, is to be submitted before April 1, 2016. Subject to prior peer-review they will be published in the Anuario Español de Derecho Internacional Privado, vol. XVI.

The registration deadline to attend the seminar, as well as the programme and further information will be announced in due time.

 

Cheers to that! The CJEU on excise duties, alcohol, packaging and regulatory autonomy in Valev Visnapuu.

GAVC - lun, 11/23/2015 - 07:07

Less is sometimes more so I shall not attempt to summarise all issues in Case C-198/14 Valev Visnapuu. The case makes for sometimes condensed reading however it perfectly illustrates the way to go about dealing with obstacles to trade put in place for environmental, public health or, as in this case, both reasons.

Mr Visnapuu essentially forum shops Estonia’s lower prices on alcohol by offering Finnish clients home delivery of alcoholic beverages purchased there. No declaration of import is made to Finish customs and excise, thereby circumventing (accusation of course is that this is illegal) a variety of excise duties imposed for public health and environmental reasons, as well as a number of requirements relating to retail licenses and container requirements (essentially a deposit-return system) for beverages.

Confronted with a demand to settle various tax debts, as well as with a suspended prison sentence, Mr Visnapuu turns to EU law as his defence in a criminal proceeding. The CJEU then had to settle a variety of classic trade and environment /public health questions: whether the packaging and packaging waste Directive is exhaustive on the issue of deposit-return system (answer: no and hence the system additionally needs to be assessed vis-a-vis EU primary law: Article 34 ff TFEU or Article 110 TFEU); whether in the context of that Directive excise duties on packaging may be imposed (yes) and packaging integrated into a functioning return system exempt (yes; in the absence of indications that imported systems are less likely to enjoy the exemption); whether the relevant excise duties fall under Article 34 ff TFEU or Article 110 TFEU (answer: it is part of an internal system of taxation hence needs to be judged vis-a-vis Article 110 TFEU); and finally whether the retail licence requirement needs to be judged viz Article 34 or Article 37 TFEU (answer: mixed, given the various requirements at stake). Final judgment on proportionality is down to the Finnish courts.

Readers in need of a tipple would be advised to postpone until after reading the judgment. Again though the case shows that if one keeps a clear head, classic structures of applying EU law go a long way in untangling even complex matters of law and fact.

Geert.

 

 

 

Una raccolta di scritti sul diritto internazionale privato e processuale della famiglia

Aldricus - lun, 11/23/2015 - 07:00

Il nuovo diritto di famiglia – Profili sostanziali, processuali e notarili, vol. IV – Tematiche di interesse notarile – Profili internazionalprivatistici, a cura di Alessandra Cagnazzo, Filippo Preite e Vera Tagliaferri, Giuffrè, 2015, ISBN 9788814201134, pp. 1360, Euro 150.

Tra i contributi di argomento internazionalprivatistico si segnalano: La legge italiana di diritto internazionale privato e le convenzioni internazionali, di Alessandra Zanobetti; Qualificazione e istituti del diritto di famiglia sconosciuti, di Stefano Armellini; La legge applicabile al divorzio nel regolamento c.d. “Roma III”, di Ilaria Viarengo; Il regolamento 2201/2003: circolazione delle sentenze in materia di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio, di Ilaria Queirolo; La legge applicabile ai fini della determinazione dello status familiare nella disciplina del ricongiungimento, di Olivia Lopes Pegna; La circolazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, di Alessandra Lanciotti; Il riconoscimento del divorzio notarile, di Maria Caterina Baruffi; Giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: il regolamento n. 2201/2003, di Laura Carpaneto; La convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dei bambini, di Laura Carpaneto; La libera circolazione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale nel regolamento n. 2201/2003, e Giurisdizione, legge regolatrice, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari, di Margherita Salvadori; Le proposte di regolamenti dedicate ai regimi patrimoniali tra coniugi e partner in unioni registrate, di Elisabetta Bergamini; La cittadinanza multipla dei minori e diritto al nome, di Emilia Maria Magrone; Il riconoscimento dei provvedimenti di adozione stranieri, di Chiara Tuo; Il riconoscimento dei patti successori tra i coniugi, di Giovanna Debernardi; La sottrazione internazionale di minori, di Luciana Sangiovanni.

Per maggiori informazioni si veda qui.

The recast EU Regulation on insolvency proceedings: an invitation to join the on-line debate at the Italian Society of International Law

Conflictoflaws - dim, 11/22/2015 - 09:00

SIDIBlog – the blog of the Italian Society of International Law and European Union Law – has issued a call for contributions to an on-line debate on EU Regulation No 848/2015 on insolvency proceedings (recast).

[From the blog] – The EU Regulation No 848/2015 of the European Parliament and of the Council of 20 May 2015 brings about the revision of the EC Regulation No 1346/2000 in matters of insolvency proceedings: while not departing from the structure of the pre-existing Regulation, the new instrument aims at improving the application of uniform rules under several aspects. With the following post of Professor Stefania Bariatti, and other ones that will be published in the coming weeks, the SIDIBlog intends to start a debate on the novelties contained in the new Insolvency Regulation, trusting to host further contributions of Italian and foreign scholars and practitioners, willing to discuss the issues raised by the new instrument. Prospective contributors can submit their posts at sidiblog2013@gmail.com.

Contributions may be submitted in English, French, Spanish or Italian. The papers received will appear in the next issue of the on-line journal Quaderni di SIDIBlog.

Un commento alla sentenza Gazprom della Corte di giustizia sui rapporti fra arbitrato e regime di Bruxelles

Aldricus - dim, 11/22/2015 - 07:00

Trevor C. Hartley, Anti-suit Injunctions in Support of Arbitration: West Tankers Still Afloat, in International and Comparative Law Quarterly, 2015, p. 965 ss.

[Abstract] – In its eagerly awaited judgment in Gazprom, the CJEU declined to follow the Opinion of Advocate General Wathelet that West Tankers is no longer good law. The West Tankers case decided that the courts of one Member State are precluded from granting antisuit injunctions directed at proceedings in the courts of another Member State, even if the proceedings in which the injunction is granted fall outside the scope of the Brussels Regulation by reason of the fact that they are concerned with arbitration. The Gazprom case confirms that West Tankers is still good law.

Ulteriori informazioni sul fascicolo 4/2015 della rivista sono disponibili qui.

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